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SAN CARLO BORROMEO. In un secolo in cui l'altezza media degli uomini non superava il metro e sessanta, il Borromeo era alto più di un metro e ottanta. Così lo descrive Federico Rossi di Marignano[2]Altro
SAN CARLO BORROMEO.

In un secolo in cui l'altezza media degli uomini non superava il metro e sessanta, il Borromeo era alto più di un metro e ottanta. Così lo descrive Federico Rossi di Marignano[2] non solo era molto alto, ma era anche di corporatura robusta. I digiuni di Carlo Borromeo negli ultimi anni di vita non consistevano nell'astinenza assoluta dal cibo, ma invece, secondo l'uso ecclesiastico antico, nel consumare un solo pasto al giorno, dopo il vespro, dando seguito alla raccomandazione di Ambrogio e di Agostino di destinare ai bisognosi il denaro risparmiato con il digiuno. Astenendosi da cibi costosi, elaborati e vari, cibandosi di un alimento comune e povero come il pane, Carlo l'assumeva tuttavia «in assai quantità», necessaria al sostentamento quotidiano di un corpo robusto come il suo.
Occorre anche ricordare che durante la vita adulta Carlo Borromeo portò sempre la barba, anche se la vasta iconografia seicentesca lo raffigura rasato. Egli cominciò infatti a radersi solo nel 1576, al tempo della peste, e mantenne il volto rasato in segno di penitenza durante gli ultimi otto anni di vita[3].
Inizialmente fu un celebre zio che aprì al giovane Carlo la strada della fama universale. Nipote per parte di madre, Margherita sorella di papa Pio IV, al secolo Gian Angelo Medici, il Borromeo fu da lui nominato cardinale e segretario privato quando aveva poco più di vent'anni. In tale veste, dando esecuzione alle direttive dello zio, il giovane Carlo ebbe la singolare occasione di contribuire a riaprire, concludere e attuare il concilio di Trento. La fama di Carlo Borromeo cominciò dunque grazie all'istituto del nepotismo.
Attuando nella diocesi ambrosiana la riforma tridentina, vivendo costantemente in ascetica povertà, Carlo Borromeo dedicò la sua azione pastorale alla cura delle anime e alla riforma dei costumi, promuovendo oltre al culto «interiore» anche il culto «esteriore» - riti liturgici, preghiere collettive, processioni - ravvivando in tal modo la fede, l'identità e la coesione sociale soprattutto dei ceti più popolari[4].
Quando tuttavia dopo la morte dello zio papa Pio IV, nel 1566 Carlo Borromeo, a ventotto anni, si trasferì da Roma a Milano per attuare in patria la riforma tridentina, si trovò a dover riformare una diocesi nella quale la disciplina ecclesiastica era «del tutto persa», perché da quasi un secolo gli arcivescovi titolari, risiedendo altrove, l'avevano abbandonata a se stessa limitandosi a goderne le rendite. Nel riformare una tal diocesi «del tutto persa», Carlo si trovò a dover affrontare «contrasti tanto grandi [...] et da persone tanto potenti che havriano impaurito ogni grand'animo».
Nell'attuare i decreti tridentini il Borromeo si espose infatti alla reazione di coloro che vedevano lesi i propri privilegi: fu contrastato dai governatori spagnoli e dal Senato milanese, minacciato con i bastoni dai frati minori osservanti, aggredito con le spade dai canonici di Santa Maria della Scala, minacciato dalle monache di Sant'Agostino, vilipeso da quelle di Lecco e colpito con una archibuggiata alla schiena da un sicario dell'ordine degli umiliati.
Francesco Federico
Ora come allora spesso chi difende la Santa Messa Tridentina viene aggredito alle spalle.........