Abramo
1921

Recensione: Marco Arosio, Aristotelismo e teologia. Da Alessandro di Hales a San Bonaventura

Autore: Professore Alessandro Ghisalberti

Presentazione di A. Pedro Barrajon e Rafael Pascual. Prefazione di Alessandro Ghisalberti. Edizione a cura di Rafael Pascual, Carmelo Pandolfi, Giuseppe D’Acunto. Edizioni LIAMAR, Monaco (Principato di Monaco) 2012. 1 volume di pp. 562.


Il volume offre in una accurata edizione a stampa l’ampia ricerca che il compianto Marco Arosio presentò a suo tempo per il conseguimento del titolo di Dottore di ricerca in Filosofia. Il tema della ricerca dottorale mirava ad uno scavo sistematico del confronto della scuola francescana delle origini con l’aristotelismo, relativamente al periodo compreso tra il 1236 ed il 1257: le date si riferiscono, rispettivamente, all' attribuzione della prima cattedra di teologia ai Frati minori in seguito all'ingresso di Alessandro di Hales nell'Ordine francescano (1236) ed alla conclusione della docenza parigina di Bonaventura, chiamato alla carica di Ministro generale dell’Ordine dei frati minori (1257).

L’orientamento della ricerca verte sull’area filosofica, ma la situazione storica del sec. XIII manteneva in forte connessione l’area dell’epistemologia filosofica con l’area dell’epistemologia teologica, per cui, dedicandosi alla prima Scolastica francescana, Marco Arosio ha ritenuto utile focalizzare le ricerche sull’impatto delle opere di Aristotele, ossia sulle rimodulazioni dei paradigmi del sapere delle singole discipline nella facoltà delle arti e in quella di teologia.

Nell’Introduzione è l’Autore stesso a esplicitare il campo operativo in cui si muove la ricerca, e precisamente vuole colmare una lacuna ancora molto evidente nel corso dell’ultima decade del secolo scorso, lacuna relativa al mancato scavo sistematico degli autori compresi tra Guglielmo di Auxerre e Tommaso d’Aquino a proposito della ricezione dell’epistemologia aristotelica, che va a coinvolgere la valutazione dell’opera stessa di Bonaventura a Bagnoregio, che una parte della storiografia definiva “aristotelismo neoplatonizzante assai eclettico” (F. Van Steenberghen), mentre si andava evidenziando l’importanza che nel processo dell’assimilazione dell’aristotelismo da parte dei maestri della scuola francescana aveva avuto la poderosa Summa Halensis, congiuntamente a tutte le opere di Alessandro di Hales, per così dire il fondatore della scuola francescana.

Dopo i primi due capitoli in cui viene fatta una ricognizione aggiornata e di prima mano per la parte di controllo dei manoscritti della Biblioteca Vaticana attinenti le opere inedite dei maestri indagati (primo capitolo), e dopo la presentazione assai minuziosa dello status quaestionis relativo all'edizione critica dell'Aristoteles latinus (secondo capitolo), la ricerca di Arosio affronta il piano dell'esegesi testuale: dopo avere scelto alcuni temi-chiave, quali, a titolo esemplificativo, le nozioni di "metaphysica", "scientia", "ratio", "intellectus", "intelligentia" e "sapientia", vengono messe in evidenza le relazioni tra il lessico dell’epistemologica elaborato dalla scuola francescana e la fonte aristotelica, considerata con riferimento alle traduzioni greco-latine e arabo-latine oltre che alla tradizione boeziana e dei florilegi.
Il terzo capitolo si concentra sulla produzione teologica di Alessandro di Hales: sono state considerate le Quaestiones che precedono la vestizione dell'abito dei Minori e la Glossa in quatuor libros Sententiarum.

Molta attenzione viene riservata allo studio della nozione di scientia nella Summa theologica halesiana, ed altresì alle tematiche derivanti dalla Metafisica aristotelica aventi connessioni con la definizione epistemologica, quali: la dottrina delle quattro cause, il tema della sostanza, le coppie materia/forma, atto/potenza, gli universali e la loro tavola: generi, specie, differenze, proprio, accidente. Si passa poi, col capitolo quarto, all'analisi della quaestio de scientia theologiae di Odo Rigaldi, dove Arosio sottopone a studio comparativo del lemma “metaphysica” con il termine “theologia” e quello di “scientia”.

I termini vengono vagliati nella loro portata semantica in Aristotele, in Severino Boezio e nella tradizione boeziana medievale (in particolare Gilberto Porretano), per rimarcare il progressivo slittamento semantico che viene a porsi dall’accezione di teologia presente in Aristotele come sinonimo del livello più alto di filosofia prima, verso la teologia come riferita a Dio nell’opera di redenzione, “in quae non potest naturalis cognitio absque fide” (p. 267).

Questo porta Odo Rigaldi a differenziare il proprio lessico epistemologico rispetto alla fonte aristotelica, per cui la teologia deve essere ritenuta una scienza distinta da tutte le altre, e non più solo un’area del sapere della prima filosofia o metafisica, quella che ha per oggetto Dio e che si distingue per livello di astrazione dalla scienza dell’ente e da quella della sostanza. La trasformazione del lessico dell’epistemologia teologica viene completata con la riformulazione della semantica assegnata da S. Agostino alla coppia sapientia/scientia.

A questo punto è opportuno allargare la riflessione, portandola sulla questione generale del cambio di paradigma nel secolo XIII, che rappresenta il contenitore storico-teoretico delle ricerche di Arosio, ossia sulla questione della scientificità della teologia. Sul piano della filosofia della conoscenza, l’incidenza del corpus dell’Aristoteles latinus, in particolare dello studio congiunto delle opere logiche e di quelle psicologiche di Aristotele, aveva portato all’elaborazione di una teoria della genesi e della portata dei concetti umani incentrata sull’astrazione, la quale consentiva di elaborare le procedure che regolano il ragionamento apodittico, ossia il sillogismo rigoroso che permette di costruire il sapere “scientifico”, capace di far conoscere conclusioni nuove.

La scienza aristotelica è fondata su premesse in cui i termini (che esprimono concetti ricavati per astrazione) sono caratterizzati dalla validità universale, e le proposizioni, che costituiscono le premesse del sillogismo, sono costruite dall’unione di termini che risulti fornita da evidenza piena o apodittica o necessaria; rispettando le regole del sillogismo, la conclusione ricavata dalle premesse è a sua volta universale e necessaria. Questa è certamente una delle principali innovazioni, che veicolò il cambio del paradigma epistemologico, che nella tradizione precedente il sec. XIII era affidato alle regole della retorica e della dialettica, oppure alla teoria della illuminazione della tradizione platonico-agostiniana, mentre nell’aristotelismo è affidato alle strutture logico-linguistiche del soggetto umano, che lo elabora sulla base di dati prettamente legati all’esperienza.

Il paradigma epistemologico fondato sul sillogismo dimostrativo, le cui proposizioni portano, attraverso le regole della deduzione sillogistica, a conclusioni nuove, prima ignote, capaci di far conoscere (scire) qualcosa di nuovo, diventò il nuovo paradigma scientifico, segnato dal rigore della necessità e della universalità e tutte le discipline mirarono a strutturarsi secondo questo modello; quelle che trovavano difficoltà ad assumere questo modello di epistemologia (come l’alchimia o alcuni settori dell’astrologia) non vennero incluse tra le scienze vere e proprie. Qui sorse da subito però un grave problema, concernente lo statuto epistemologico della teologia: è possibile considerare la teologia come una scienza rigorosa, secondo il modello aristotelico?

Nei termini del linguaggio tradizionale dell’alto medioevo, la teologia era collocata al rango più elevato del sapere, da Agostino chiamato sapientia, che si occupa delle “realtà superiori”, mentre la scienza era posta al livello inferiore, perché si occupa delle realtà empiriche. Questo paradigma dicotomico salta con l’affermarsi del paradigma aristotelico, che assegna il carattere di scienza esclusivamente alle conclusioni del sillogismo dimostrativo. Come si atteggiarono i teologi di fronte alla nuova domanda: “Utrum sacra doctrina sit scientia”?

Possiamo dire che i teologi del sec. XIII si divisero in due correnti: una favorevole a considerare la teologia come capace di assumere il nuovo paradigma scientifico, e ricordo tra i maggiori esponenti di questa scuola Alberto Magno, Tommaso d’Aquino e Raimondo Lullo; l’altra corrente, legata soprattutto ai maestri della scuola francescana di cui si occupa il volume di Marco Arosio (Alessandro di Hales e Bonaventura tra i principali), ritenne che si dovesse mantenere per la teologia la definizione caratterizzante di conoscenza sapienziale, non vincolata dalle regole del sillogismo, ma disposta nell’orizzonte dell’interiorità del soggetto (intuizione, illuminazione, affetto) e aperta all’intelligenza della rivelazione divina.

Si noti ancora come il paradigma aristotelico si presentava agli scolastici latini come una novità per il fatto di essere globale, portatore di un modello di sapere rigoroso che accomunava tutte le discipline e del quale era garante la ragione umana. Un sapere dunque disponibile a tutti gli uomini in quanto dotati di ragione, indipendentemente dalle loro condizioni etniche, politiche e religiose. Del resto di questo paradigma già da alcuni secoli si erano serviti gli intellettuali del mondo islamico e di quello ebraico della diaspora; lo testimoniavano la opere di autori importanti come Avicenna, Averroè e Mosè Maimonide, tradotte in latino nella prima metà del secolo XIII.
E’ esattamente questo l’orizzonte della ricerca in cui si muove il cospicuo capitolo quinto, di ben 150 fitte pagine, dedicato a San Bonaventura, del quale Arosio considera gli scritti riconducibili agli anni del suo insegnamento in qualità di baccelliere sentenziario e maestro reggente della cattedra di teologia a Parigi (1252-1257).

Viene rilevata la sua costante oscillazione nella valutazione della filosofia aristotelica, e vengono sottolineate le prese di distanza esplicita da Aristotele per quanto concerne la sua opposizione alla dottrina platonica delle idee, ed altresì per la metafisica come disciplina orientata alla conoscenza dei principi regolativi della struttura del cosmo, anziché come ricerca di un sapere autenticamente sapienziale.

La conoscenza scientifica, fissata da Aristotele nella dimostrazione assiomatica, per Bonaventura si configura come attività della parte inferiore della ragione, la quale raggiunge verità evidenti, sebbene prive dell' assoluta certezza propria della sapienza. La ratio superior è il luogo in cui l'azione conoscitiva incontra l'atto dell'illuminazione divina; per intervento del "donum sapientiae et intellectus", ed in virtù del suo carattere sperimentale-affettivo, viene resa possibile la penetrazione delle verità già accettate sul fondamento dell' autorità della pagina biblica. Lo sforzo intellettuale, qualora permanga limitato al livello della scienza nella condizione della filosofia naturale, si espone all'insuccesso della "vana curiositas" .

La predilezione per le tematiche sviluppate dal Sermo XXXVI in Cantica di San Bernardo, dalla Summa aurea di Guglielmo d'Auxerre e dalla scuola dei Vittorini, consente di individuare un orizzonte categoriale che intende la teologia come scientia specialis. La ricerca teologica si identifica con l’attività inquisitiva che si apre allo spazio della grazia e all’attività intellettuale che procede dall’adesione al dato rivelato; il sapere teologico deve essere autenticamente sapienziale, ed impegna il credente non solo nell’impiego delle facoltà intellettuali, ma si protende verso una estensione affettiva (“ordinatur ad affectum”).

Su questo aspetto centrale si esplica tutta la novità della ricerca, ossia sul come Bonaventura ha inteso la ratio; Arosio offre una ricca documentazione testuale che evidenzia il convergere per Bonaventura della ratio con il sillogismo dialettico, che non genera l’evidenza della scienza (questa è il risultato del sillogismo apodittico), bensì genera l’opinione, il ragionamento probabile. La “ratio probabilitatis” è la modalità caratterizzante il credibile in teologia. Il credere si esprime in modo assertivo solo quando le posizioni assertive sono date per rivelazione, mentre se le affermazioni si fondano su procedimenti dialettici esse risultano opinioni, ragioni probabili. La sintesi del percorso può perciò essere affidata al sintagma che è stato sempre prediletto da Arosio: il credibile ut intelligibile.

Con ciò si indica uno statuto epistemologico sui generis per la teologia bonaventuriana, la quale si basa sui contenuti della rivelazione assunti per via di fede (il credibile), ma non si ferma ad essi e postula un aggancio alla ragione argomentativa, un approdo all’opinio probabilis, l’intelligibile acquisito attraverso il procedimento dialettico.
Francesco I